Posti da record
E’ scritto nella storia dell’uomo. Tutte le volte che una comunità di persone ha trovato una linea di pensiero, un credo, una passione comune, presto sono nati luoghi fisici dove condividerli.
La Velocità Assoluta non fa eccezione e se il mezzo per raggiungerla è la moto, spesso questi luoghi hanno assunto un’aura mistica, per le imprese che vi sono state compiute. Non stiamo parlando delle competizioni sportive tra moto in circuiti di vario tipo: quel tipo di gara è nato “quando la seconda moto al mondo è stata costruita”, ma della massima velocità raggiungibile, la competizione che è nata quando la Prima Moto è stata costruita. Si tratta quindi del primo tipo di corsa motociclistica della storia, la Gara Primeva.
Lo scopo da chi è contagiato dalla Velocità è appunto percorrere una data distanza nel minor tempo possibile. Detta così, sembra quasi facile, vero? Invece quando qualsiasi attività è portata al limite, tutto diventa molto, molto difficile. Ricordiamolo, la sfida è contro il tachimetro più che contro il cronometro come in pista, e servono condizioni molto particolari per poter raggiungere un record, il cui unico destino è di essere battuto dal successivo. Servono spazi ampi, un fondo uniforme e piano per chilometri, e anche un clima favorevole allo sviluppo delle massime potenze ai vari tipi di motori ammessi. Vediamo quali luoghi nel mondo si sono rivelati adatti alle prove di Record velocistici, riferendoci sempre alle moto, essendo il veicolo più affascinante in assoluto.
Il tipo di prestazione ricercata non richiede un tracciato vero e proprio, per cui nel corso degli anni molti luoghi sono stai “eletti” a piste temporanee, e in particolare i tratti autostradali si prestano molto bene a un tentativo di record, e i motivi sono evidenti. In autostrada è più semplice trovare un lungo tratto rettilineo, la carreggiata è molto larga, almeno due corsie sono a disposizione del pilota, e il fondo è molto curato rispetto a quello delle strade “normali”..
Nel 1903, anno di fondazione dell’Harley-Davidson, il pilota statunitense Glenn Curtiss, in sella a una moto da egli stesso progettata e costruita, la Curtiss V-2 da 1.000 cc (che divenne negli anni la Curtiss V8 da 4.000 cc!), nella località di Yonkers, Stato di New York, toccò i 103,0 km/h, una velocità che forse fa sorridere oggi ma che 112 anni fa non era affatto uno scherzo raggiungere, portando a casa la pelle.
Tornando a casa nostra, Pietro Taruffi nel 1937 raggiunse i 274,181 km/h sul tratto di strada che unisce Bergamo a Brescia: avete letto bene, 274 km/h, una velocità simile sulla sella di una moto del 1937 non doveva essere uno scherzo, anche se la moto in questione era una Gilera “factory” sovralimentata a 4 cilindri. I tratti autostradali, o meglio, le “Autobahn” più note per questo tipo di record sono sicuramente quelle situata in Germania. Il leggendario pilota teutonico Ernst Jacob Henne ha portato molti prototipi BMW a toccare velocità incredibili sull’autostrada Francoforte-Monaco, la A3, dove raggiunse il proprio record assoluto di 279,503 km/h. il connazionale Wilhelm Her preferì invece l’autostrada A9 per raggiungere i 290,322 km/h in sella, anzi, dentro, lo streamliner NSU Delphin I. Il termine “streamliner” indica quei “siluri che poco hanno a che fare con una moto classica: basta un colpo d’occhio per capirlo. I record a nostro parere più interessanti sono quelli ottenuti con veicoli che, per quanto ipercarenati e dotati di motori mostruosi, si mantengono aderenti al concetto di motocicletta, con il pilota esposto anche e se protetto dalla carena e trazione “a terra”: si sono tentati infatti record anche a bordo di veri e propri missili, con motori a reazione e a razzo. Per quanto impressionanti e degni di ammirazione per lo sforzo tecnico e il coraggio necessari, questi mezzi non ci sembrano però appartenere alla pur grande famiglia delle moto.
Ma torniamo in… pista. Restando in Europa, un tratto stradale nei pressi di Arpajon, nel Nord della Francia, era parecchio bazzicato, nei primi 30 anni del secolo scorso, dai malati della velocità. Tra tutti, il britannico Bert le Vack che toccò i 207,33 km/h, sfondando il muro dei 200 all’ora per la seconda volta, essendo stato preceduto, sempre ad Arpajon, da Owen M. Baldwin che un anno prima, nel 1928, raggiunse i 200,56 km/h con una Zenith-JAP. Le Vack pilotava invece la Rolls Royce delle moto, la Brough Superior, e la sua esperienza nel campo motociclistico sia come pilota sia come progettista e costruttore lo portò a diventare uno dei fautori della Motosacoche.
Facendo un salto dall’altra parte del mondo, a Christchurch la capitale della Nuova Zelanda, Russell Wright con la sua Vincent-HRD raggiunse i 297,640 km/h, su una strada che non era esattamente un biliardo. A proposito di piloti down-under, nello splendido film The World’s Fastest Indian (del 2005 con Anthony Hopkins come protagonista, tradotto da prestigiosi giornali italiani come “L’indiano più veloce del Mondo”, no comment…), si racconta la storia di Burt Munro che, sul finire deli Anni 60,dalla piccola officina nella quale preparava con molto spirito artigianale la propria Indian, riuscì a raggiungere il vero Tempio della Velocità Assoluta, ovvero Bonneville, negli Stati Uniti d’America. In altri scenari si infransero diversi record, ma Bonneville, grazie alle caratteristiche molto peculiari, ha praticamente eliminato dallo scenario mondiale ogni altra località: se vuoi tentare un record oggi, devi andare a Bonneville. La pianura di sale quasi perfettamente piana (anche se per nulla “liscia”), l’isolamento del posto, le condizioni climatiche sembrano essere state progettate apposta per “dare il gas” per chilometri. La Triumph ha qui stabilito tre record di velocità (nel 1956, 1962 e 1966), e ha addirittura dato il nome “Bonneville” a una serie di modelli che hanno scavalcato il millennio e sono tuttora in vendita. A Bonneville piloti come Don Vesco, Rocky Robinson, Chris Carr, hanno infranto anno dopo anno record ritenuti inavvicinabili, l’ultimo dei quali è di 605,697 km/h raggiunti nel 2010 da Rocky Robinson “dentro” un siluro, uno Streamliner costruito “su misura” dal nome minaccioso: “Ack Attack”. Una caratteristica che unisce, come un filo conduttore, il pioniere Glenn Curtiss e i team più moderni nella sfida alla velocità è propio l’autocostruzione della moto da record.
Per raggiungere determinati obiettivi non si può fare ricorso a motori, telai, ruote, pneumatici tradizionali, anche se “racing”. Servono nuove tecnologie ogni volta che si affronta il sale di Bonneville, soprattutto se la sfida è condotta con moto “vere”.Il motore, il telaio, la carenatura, devono essere uno in funzione delle altre parti, per rendere al massimo e portare il sogno della Velocità, ancora qualche chilometro all’ora più in là.